"...Vi fu un'epoca in cui le porte tra i Mondi
fluttuavano con le nebbie
e si aprivano al volere del viaggiatore..."
Le nebbie di Avalon
Pagine vintage, spiritualità pagana, streghe, fate, letteratura dimenticata, figure femminili d'ispirazione. E musica, tanta musica!
"...Vi fu un'epoca in cui le porte tra i Mondi
fluttuavano con le nebbie
e si aprivano al volere del viaggiatore..."
Le nebbie di Avalon
Nelle ultime settimane avevo bisogno di guardare qualcosa di diverso dal solito. Qualcosa che, se avessi dovuto rimanere nella mia comfort zone, non avrei scelto. Della serie che ancora sto guardando non svelo nulla e mi riservo di parlarne, probabilmente, in un secondo momento; oggi vorrei invece soffermarmi su quella che ho appena terminato: Sirens.
Siamo su un'isola, possedimento di una coppia di miliardari male assortita. Lui è Peter, perennemente in viaggio o rinchiuso nel suo piccolo luogo tranquillo, quasi a voler evitare la compagnia forzata della moglie Michaela. Al servizio della donna, che scopriremo poi essere la sua seconda moglie, vi è una schiera di "addetti ai lavori" costantemente impegnata ad assecondare ogni suo capriccio. Tra tutti loro spicca Simone, la sua assistente: una figura a metà strada tra Barbie e un'influencer che gode di un rapporto più che speciale con la propria datrice di lavoro. Perchè Michaela le fa un po' da mamma, un po' da amica, un po' da sorella. E pretende da lei una fedeltà assoluta oltre che ad un'intimità che tra datore di lavoro e dipendente non dovrebbe proprio sussistere.
La vita di Simone è perfetta. Sta vivendo il suo sogno, è finalmente felice. E continuerebbe ad andare tutto a gonfie vele se non fosse che, un bel giorno, si presenta alle porte della sontuosa tenuta Devon, la sorella di Simone. Ed è incazzata nera, con giusta causa. Al padre è stata diagnosticata demenza precoce e lei non ce la fa a gestire per conto proprio questa situazione.
Cosa potrebbe andare storto ancora? TUTTO.
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Michaela, comunque, è una villain che mi ha soddisfatto molto! Vogliamo parlare di come ha organizzato il funerale del suo rapace del cuore? |
Perchè queste tre donne - Michaela, Simone e Devon - stanno facendo di tutto per nascondere il loro lato più fragile, sbagliando e rendendosi agli occhi altrui ciò che in realtà non sono, o non vorrebbero essere. E, come sirene, si trasormano quindi in "mostri" agli occhi di coloro che ne conoscono la sola apparenza.
Ma non è solamente questo ad essere il fulcro della serie; c'è qualcosa di più sottile, nascosto tra le righe - ma nemmeno troppo. Ed è ciò che fa nascere in me una riflessione: a cosa siamo disposti veramente per poter perseguire i nostri sogni? Che cosa siamo capaci di fare veramente per cercare di fare carriera in un ambiente al di sopra delle nostre aspettative?
Simone, infatti, ha rinunciato a tutto per diventare non solo l'assistente ma anche l'unica vera amica di Michaela, alla quale ha addirittura tenuto nascosta l'esistenza della sorella. Si è trasformata in una bambolina pronta a servire e riverire, con un perenne finto sorriso stampato sulla faccia perchè la sua padrona non può e non deve vedere persone tristi al proprio fianco. Ma sta facendo la cosa giusta?
Non esiste un vero e proprio lieto fine in questa serie. Ed è forse il motivo principale che me l'ha fatta apprezzare così tanto nonostante, a mio avviso, l'epilogo risenta molto di un certo tipo di forzatura, quasi che s'avesse fretta di concludere la faccenda.
Ho letto che è possibile venga realizzata una seconda stagione, ma su questo sono un po' tentennante. Ci sono storie alle quali, a volte, un punto fermo può solo che giovare. Come in questo caso. E' già bella così.
Dai luoghi selvaggi venite, o fate,
e per qualche istante a questa terra
badate;
venite danzando dall'irreale collina
per risvegliare il potere e compiere la volontà divina;
nel mio giardino gioite e danzate,
possa la sua terra pollulare di fate!
Erbe, fiori, piante del giardino,
liberate ogni spirito divino!
Brillino ovunque sfere di luce fluttuanti
dalle Terre degli Elfi belle e lucenti.
Fate, accogliete il patto che vi detto,
di onorarvi e trattarvi con rispetto!
(da "Parola di Fata" di Claire Nahmad)
E' difficile dare un nome a ciò che in questo periodo mi ribolle nella testa come in un enorme calderone. Da una parte sento sempre più forte il bisogno di andare avanti e concretizzare tutta una serie di idee a cui ho lavorato nel corso dell'anno, dall'altra però comprendo che il modus operandi che vorrei seguire - ed è l'unico che si addice perfettamente alla mia persona - è totalmente anacronistico.
Al giorno d'oggi se vuoi metterti in gioco devi farti vedere, metterti a nudo (in tutti i sensi!) e venderti sui social networks. E tutto ciò comporta rischi notevoli che non vanno solamente a ledere la tua privacy, ma possono innescare un meccanismo distorto fatto di immagini rubate e intelligenza/violenza artificiale.
E' davvero questo l'unico modo per fare arrivare la nostra arte?
Noi musicisti, scrittori, disegnatori, sarti, artigiani, scultori, attori, siamo dunque destinati a soccombere in favore dei balletti su Tik Tok e delle chiappe al vento su Instagram?
Ci battiamo tanto contro la mercificazione del corpo e non ci rendiamo conto che siamo noi stessi ad alimentarla. Vorremmo creare noi i prodotti e non capiamo che il prodotto siamo noi.
C'è solo un modo per combattere tutto questo: guardare avanti ed osservare a quale destino siamo destinati. Solo in quel momento, con gli occhi colmi di rabbia e dolore, ci renderemo conto che possiamo ancora tornare indietro.
Non so ancora come, ma mi batterò fino all'ultimo per riottenere la nostra indipendenza.
Nella piazza del mercato stanno ammucchiando le fascine. Un folto d'ombra è un misero mantello. Io abito l'immagine di cera di me stessa, un corpo di bambola. Comincia qui la malattia: sono un bersaglio per streghe. Solo il diavolo può divorare il diavolo. Nel mese delle foglie rosse salgo su un letto di fuoco.
È facile dare la colpa al buio: la bocca di una porta, il ventre della cantina. Hanno spento la mia stellina filante. Una signora dalle elitre nere mi tiene in una gabbia di pappagallo.
Che occhi grandi hanno i morti!
Sono intima di uno spirito peloso. Volute di fumo escono dal becco di questa brocca vuota.
Se sono piccina, non posso fare alcun male. Se non mi muovo, non farò cadere niente. Così ho detto, seduta sotto il coperchio di una pentola, minima e inerte come un chicco di riso.
Ora girano le manopole, un fornello dopo l'altro. Siamo pieni di amido, piccoli amici bianchi. Cresciamo. All'inizio fa male. Le rosse lingue insegneranno la verità.
Madre degli scarabei, disserra solo un poco la tua mano: volerò attraverso la bocca della candela come falena illesa. Ridammi la mia forma. Sono pronta a interpretare i giorni în cui mi accoppiavo con la polvere all'ombra di una pietra. Le mie caviglie si accendono. Il fulgore sale lungo le cosce. Sono perduta, perduta, nelle vesti di tutta questa luce.
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Autore sconosciuto |
Ho un vero e proprio debole per le donne con le palle. Quelle che sanno fare cose e le sanno pure fare bene.
Di Wislawa Szymborska non si sente parlare molto, eppure ha vinto pure un Nobel per la letteratura nel 1996 ed è considerata tra le più illustri voci femminili della poesia polacca.
Riservandomi di parlare di lei in un futuro non troppo lontano (spoiler: sto preparando un articolo sulle poetesse pistoiesi e rischia di essere un lavoro monumentale), oggi colgo l'occasione per introdurla sul blog attraverso le due poesie che me l'hanno fatta conoscere.
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Foto di Joanna Helander |
Lode della cattiva considerazione di sè
La poiana non ha nulla da rimproverarsi.
Gli scrupoli sono estranei alla pantera nera.
I piranha non dubitano della bontà delle proprie azioni.
Il serpente a sonagli si accetta senza riserve.
Uno sciacallo autocritico non esiste.
La locusta, l’alligatore, la trichina e il tafano
vivono come vivono e ne sono contenti.
Il cuore dell’orca pesa cento chili
ma sotto un altro aspetto è leggero.
Non c’è nulla di più animale
della coscienza pulita
sul terzo pianeta del Sole.
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Foto di Joanna Helander |
Utopia
Isola dove tutto si chiarisce.
Qui ci si può fondare su prove.
L’unica strada è quella d’accesso.
Gli arbusti fin si piegano sotto le risposte.
Qui cresce l’albero della Giusta Ipotesi
con rami districati da sempre.
Di abbagliante linearità è l’albero del Senno
presso la fonte detta Ah Dunque E’ Così.
Più ti addentri nel bosco, più si allarga
la valle dell’Evidenza.
Se sorge un dubbio, il vento lo disperde.
L’eco prende la parola senza che la si desti
e chiarisce volenterosa i misteri dei mondi.
A destra una grotta in cui giace il Senso.
A sinistra il lago della Profonda Convinzione.
Dal fondo si stacca la verità e lieve viene a galla.
Domina sulla valle la Certezza Incrollabile.
Dalla sua cima si spazia sull’Essenza delle Cose.
Malgrado le sue attrattive l’isola è deserta,
e le tenui orme visibili sulle rive
sono tutte dirette verso il mare.
Come se da qui si andasse soltanto via,
immergendosi irrevocabilmente nell’abisso.
Nella vita inconcepibile.