I fiori si sollevarono a porgere omaggio all’alba rovente, abbracciando la luce rosata coi loro petali variopinti. Erano un’infinità e coprivano per intero la vallata, da un lato all’altro, come un oceano di colori. Cullati dal vento leggero danzavano alla ricerca dell’abbraccio del sole, ignari di essere gli unici ad accogliere la vita con tanta gioia.
Anche gli uomini si sollevarono a porgere omaggio all’alba, ma lo fecero indossando armature e sollevando lance. Migliaia di strali dorati occupavano gli estremi della valle, pronti a dipingere i fiori di scarlatto. Percepivano il vento leggero sulla pelle e il bacio delicato del sole, ma quella mattina avevano accantonato la vita, sposando la sua nera controparte.
Tutti, sia in uno schieramento che nell’altro, mostravano un coraggio che non possedevano, cercando di trovare un senso all’assurdità dello scontro. Alcuni si ammantarono d’orgoglio patriottico, altri si illusero d’essere i salvatori delle famiglie rimaste a casa, altri ancora carezzarono l’idea della paga che avrebbe gonfiato loro le tasche. Misere scuse per convivere con la coscienza ulcerata dagli orrori della guerra.
Solo un uomo, commosso dal mare di petali, trovò il coraggio di guardare con sincerità all’orrore che giaceva nel suo cuore. Bastò un attimo, un raggio di luce, e il castello d’illusioni crollò in mezzo ai fiori.
Per anni, ogni volta che aveva affondato la lancia nel corpo di un uomo, aveva raccomandato la sua anima a Dio e giurato di combattere per la giustizia. Aveva ottenuto gloria e onori camminando sui cadaveri degli sconfitti, a braccetto con la nera signora. In ogni angolo del regno erano state narrate leggende sul suo coraggio e la sua determinazione, storie di eroismo.
Il solo pensiero lo spinse a scoppiare in una risata amara che i commilitoni lessero come l’ennesimo sfoggio d’orgoglio. La verità era ben diversa. Dopo tanti anni passati a stretto contatto con la morte, aveva finalmente incontrato la vita. E l’aveva fatto lì, dove il profumo di un fiore divideva un uomo da una lancia affilata.
I compagni lo guardarono, cercando nei suoi occhi il coraggio di un eroe. Coraggio? Uccidere un uomo non è coraggio, ma paura. Il vero coraggio è affrontare la morte. Eroe? Chi vince una guerra non è un eroe, ma un assassino. Il vero eroe è colui che protegge la vita. Guardò il volto arcigno dell’uomo al suo fianco e vi lesse una domanda antica: com’è possibile affrontare i nemici senza colpo ferire? Si accorse di non avere una risposta a quel quesito, ma si rese conto che non aveva davvero importanza. Il concetto stesso di nemico perdeva senso nella bellezza dei fiori.
Vide, con le lacrime agli occhi, i petali sfiorarsi l’un l’altro e lievi gocce di rugiada scivolare di fiore in fiore come gioielli di pace. Sollevò lo sguardo sugli elmi crestati dei nemici e si rese conto che al di là delle armature minacciose si nascondevano degli uomini. Uomini terrorizzati e innamorati della vita quanto lui. Veterani desiderosi di tornare dai figli già grandi, giovani impazienti di rivedere le novelle mogli e ragazzini assetati delle gioie della spensieratezza. Oltre le lance e gli scudi non vide più dei nemici, ma dei fratelli riuniti sotto un’altra bandiera.
Per cosa combattevano quegli uomini? Non lo sapeva, ma poteva immaginare che avessero le stesse motivazioni dei suoi commilitoni. Le stesse illusioni di un futuro felice, la stessa paura della morte, la stessa speranza nella pace. Se combattevano per gli stessi motivi allora cosa li rendeva nemici? La risposta, amara e spietata, si delineò nei suoi pensieri.
In assoluto silenzio si voltò verso il suo re e lo fissò a lungo. Studiò gli occhi spenti di chi ha rinunciato alla propria anima per il potere, notò il collo piegato sotto il peso della corona, le guance rubiconde per il troppo coraggio liquido ingollato da otri di vino piene di demoni. Vide solo un vecchio avaro, desideroso di pagare la propria immortalità con la vita dei suoi soldati. Scosse il capo disgustato e uscì dai ranghi, dritto in mezzo al tappeto di fiori.
Sentì i commilitoni inneggiare al suo coraggio, ignari del tumulto che gli strizzava il cuore. Credevano che avesse abbandonato i ranghi per compiere l’ennesimo atto d’eroismo, per affrontare in solitaria l’esercito nemico in un atto d’estremo orgoglio. La realtà era ben diversa. Ben attento a non rovinare il mantello di fiori, smise d’avanzare verso l’esercito avversario e si diresse verso il suo re, mentre nella mente una voce incessante lo incitava a cambiare.
Raggiunse il re e lo fissò negli occhi vuoti.
Era giunto il momento di lasciarsi il coraggio alle spalle e scegliere la codardia. Doveva solo sillabare una parola e lasciare cadere le armi. L’avrebbero giustiziato per diserzione, ma non aveva importanza. Si sarebbe lasciato alle spalle la guerra, la violenza, la morte. Poi un raggio di sole rimbalzò sulla corazza del sovrano suggerendogli un’alternativa.
Il sovrano lo guardò con disprezzo e speranza.
Il veterano gli sorrise, la mente smarrita nei pensieri. Anni e anni di eroismo non erano bastati a fermare quell’assurda carneficina, a portare la pace. Forse un solo istante di codardia poteva distruggere il male alla radice.
Piantò la lancia nel cuore del re.
Daniele Viaroli
Nessun commento:
Posta un commento