mercoledì 26 giugno 2024

Fanny Tomasi Favero

Ho impiegato un po' di tempo a scrivere questo articolo perchè, dopo essermi imbattuta sullo spazio web curato da Piero Favero, ho fortemente desiderato documentarmi sulla protagonista dell'articolo di oggi.

Sono felicissima d'esser la prima blogger a parlare di Fanny Tomasi Favero: un'artista, un'imprenditrice, un'anima sensibile e raffinata. Il suo nome probabilmente vi risulterà nuovo, a meno che non siate tra i fortunati possessori del libro in cui il figlio Piero ha raccolto tutte le sue poesie (o se vi siete imbattuti nel sito precedentemente linkato).

Fanny nasce il 16 gennaio 1934 a Tarzo, frazione di Nogarolo, un piccolo borgo trevigiano a 267 metri sul livello del mare. La sua famiglia è quella dei Tomasi, proprietari della fornace omonima produttrice di laterizi e risalente al '700.

I ricordi dell'infanzia e dell'adolescenza trascorse a Tarzo si ramificano in due principali filoni poetici: quelli dedicati agli abitanti del paese e quelli in cui è la fornace a fare da sfondo e/o filo conduttore. 

La gente di Tarzo viene dipinta dai versi di Fanny come se ci trovassimo di fronte a personaggi della commedia dell'arte, a volte strappandoci una risata, come nel caso di Piero il campanaro, che mentre suona le campane impreca contro la moglie Giustina, tabagista incallita che non rinuncia al proprio vizio nemmeno quando lo affianca sulla torre campanaria:

[...]Al doppio della vigilia
aiutava pure la Giustina,
una campana suonava
l’altra batteva anche il botto.
Si fermava lei un poco a tabaccare
lasciando la corda
salire e scendere a suo piacere.
Piero allora prendeva a sbraitare,
volavano parole e parolacce
al suono delle campane[...]

In altre occasioni, invece, vengono rappresentati in tutta la loro crudezza, come in Barocce, Florian e Marietto, componimento in cui si racconta la bravata di tre ragazzini senza cuore che decidono di impiccare un cane.

Nei versi dedicati al suo paese viene a volte fatto uso moderato del dialetto veneto, come leggiamo in Ernesto Andreon, che a quanto pare è un po' duro d'orecchio:

[...]A lungo aveva sentito parlare la gente
ora immaginava il loro dire,
ad ogni occasione indovinava le risposte.
Un giorno stava lavorando
tranquillo il campo
e così rispose ad un amico:
"Eih, compare bongiorno".
"Sì, son qua che are". (Sì, son qui che sto arando)
"Ma setu anca sordo?" (Ma sei anche sordo?)
"Eh sì, semene l’orzo"[...] (Eh, sì, semino l'orzo)

Fotografia giovanile di Fanny - per gentile concessione della fam. Favero


La Fornace Tomasi è stata un vero e proprio simbolo dell'industrializzazione nel coneglianese e la sua storia è fatta di numerosi aneddoti che possiamo ritrovare nel libro dell'architetto Lucia Tomasi La ciminiera di Conegliano. Negli anni '70 del Novecento la fornace è fallita e fa ora parte della nostra archeologia industriale: c'è chi vorrebbe trasformarla in un centro commerciale, chi vorrebbe raderla al suolo per costruirvi dei giardini pubblici, tuttavia al momento non v'è nulla di concreto. Svetta ancora, in compenso, la ciminiera della fornace, ed è altissima: in passato era ancora più alta ma è stato necessario abbatterne la cima per mettere la costruzione in sicurezza. 

Dei vari aneddoti legati alla fornace vale la pena ricordare quello legato proprio alla ciminiera, costruita pezzetto per pezzetto dall'operaio Giovanni Bertazzon il quale, come scrive l'architetto Tomasi "si faceva issare in cima alla struttura con una carrucola e lì rimaneva tutto il giorno, mangiava e persino fumava lì sopra". Da giovane aveva perso un occhio e la mano sinistra a causa di un incidente, trovandosi quindi in condizione di dover lavorare con la sola destra ed un uncino al posto della mancina.

Fanny cresce in un clima ove la fornace è un po' appendice del focolare domestico, tanto che i suoi versi ne risentiranno più volte, sia per ricordarne i momenti più spensierati, come nella poesia Il dopolavoro, sia per rispecchiarne il ricordo in una metafora della vita come nel caso del componimento L'argilla assetata pubblicato nel 1968 in "Pittura e poesia" (Convivio Letterario Editore, Milano)

La vita è dura
come l’argilla assetata.
Un pianto è negli occhi
di solitudine.
Sono lontani
i giorni felici
oltre quel limite
lontani
come in un altro mondo.

La fornace le fa un enorme dono, avvicinandola all'importanza della terra intesa non solo come suolo natio ma anche come puro elemento che, assieme ad acqua, aria e fuoco disegna un cerchio perfetto che racchiuderà la sua intera opera poetica. 

Piero, figlio di Fanny, ricorda quel luogo di famiglia con affetto: quando da piccolo andava a trovare i nonni, prima del trasferimento ad Udine, la Fornace era diventata uno dei suoi parchi giochi, con tanto di giri in bicicletta all'interno della proprietà.

Si sa che gli artisti sono dei grandi sognatori, e il sogno di Fanny non è quello di seguire le orme del padre lavorando alla fornace. Forse, segretamente, desidererebbe vivere di poesia (questo non possiamo saperlo) ma il suo spirito poetico la spinge a fare ugualmente qualcosa di grande: nel 1957 parte per Lignano assieme al marito, e lì apre il primissimo albergo della zona, proprio nel bel mezzo della pineta: è l'Eurovil Hotel, tutt'ora attivo e gestito dal figlio Raffaele. 

Foto scattata fuori dall'Hotel Eurovil - per gentile concessione della fam. Favero


Alla fine degli anni Cinquanta Lignano Pineta è una zona prevalentemente boscosa e, a quanto pare, destinata ad essere un luogo caro agli artisti. Lo stesso Hemingway, nel 1954, vi aveva soggiornato a lungo trovandovi un'ottima fonte di ispirazione e... buoni amici: spesso lo si vedeva andare a caccia di anatre o in barca con la gente del posto. Allo scrittore verranno dedicati un parco e, a partire dal 1985, il prestigioso Premio Hemingway, la cui quarantesima edizione si terrà proprio durante questo fine settimana.  

Il marito di Fanny, pur appoggiando quel progetto di aprire un albergo proprio sotto un fitto manto di chiome arboree, non gestisce con lei la struttura: egli ha aperto una sua farmacia dopo essere stato informatore farmaceutico per diverso tempo, così si limita ad offrire la propria compagnia ai clienti, la sera, al suo rientro. 

Per meglio comprendere l'idea innovativa di Fanny dobbiamo ricordare la particolare struttura di Lignano: l'architetto Marcello D'Olivo, nel 1952, si occupò dell'urbanistica tracciando un percorso a spirale che parte dalla chiesa, al centro del paese, e che attraverso una sorta di raggiera permette di muoversi all'interno della pineta, cercando di non alterare troppo l'equilibrio naturalistico. Ad oggi del vero e proprio bosco rimane poco e per lo più in periferia, ma ai tempi dell'arrivo di Fanny era un luogo ancora selvaggio, e prima ancora è stato sede di dune fossili che hanno fortemente influenzato la flora locale. 

Di fronte all'albergo vi è una villetta: qui soggiorna una signora di Roma che i figli di Fanny chiamano bonariamente "la baronessa". E' proprio grazie a lei e alle sue conoscenze nel campo dell'editoria che alcune poesie di Fanny appariranno in pubblicazioni artistiche come, ad esempio, "La botte e il violino" o la precedentemente citata "Pittura e poesia".

Fanny con uno dei suoi figli - per gentile concessione della fam. Favero


Fanny scrive sin da quando era molto giovane, sebbene la maggior parte dei suoi componimenti sia databile al periodo lignanese e, in special modo, tra gli anni '60 e '70. 

Precedentemente avevo accennato alla presenza dei quattro elementi all'interno delle sue poesie. E ora, dopo la terra, sono aria ed acqua che diventano le principali protagoniste:

[...]Il vento leviga l’arena
e le transenne battono
un ritmo folle.
Le luci si schiantano
contro il frastuono del mare[...]
(La notte è silenziosa)

Troviamo inoltre un ottimo esempio in  Lambita dal nostro mare, dove appaiono tre elementi su quattro: il vento, il mare e il sole che brilla sulla terra dalmata:

Spirando il libeccio
pel cielo lanoso
porta all’occhio
assolata la Dalmazia
del nostro sole,
lambita dal nostro mare.
Ora dov’è il confine
segnano di notte
i pescatori con le lampare.

Ma il fuoco vero e proprio appare in tutto il suo potere in Come brace: è luce, forza bruciante che consuma, che arde di nuovo, si trasforma in passione e torna ad essere calda luce:

Nelle corolle
il sole svela
alveoli d’amore.
La terra come brace
si arrovella
al gioco di luci
che mi ridesta
ai primi giorni
di questa vita.
Riposo nel suo grembo,
bimbo incosciente,
conto le dita
e rompo il silenzio
di suoni confusi.
Una volta vorrei amare
come tu ami
questo nostro vivere.

Silenziosa cade
una piuma nell’aria,
le api cercano
il miele nel prato.
La vita palpita
alla luce del giorno
che lentamente ci attira
alla notte del suo cammino.
La terra riavrà la polvere
dei miei giorni.
Sarò nel silenzio
come il figlio
nel pensiero della madre,
cercherò ancora la tua luce
e tutto di me
che già conosci.

Foto di famiglia - Per gentile concessione della fam. Favero


L'eredità che Fanny lascia ai suoi figli - e al mondo intero - è preziosa: dalla casa (ora venduta a nuovi proprietari che l'hanno trasformata in un ristorante) in cui è nata e cresciuta fino a divenire una pionera del turismo alberghiero di Lignano, ci ha regalato testimonianze indelebili di un tempo lontano. Perchè non dobbiamo dimenticare le nostre radici: nulla di quanto abbiamo vissuto è insignificante, nemmeno le cose più semplici, e farne dono a qualcuno (una, dieci, mille persone, non importa quante!) è uno dei più grandi atti d'amore. 

Scrivere di Fanny è stato come intraprendere un lungo ed emozionante viaggio.
Ringrazio i figli Piero e Raffaele per avermi dedicato il loro tempo e avermi permesso di poter raccontare la vita di questa donna straordinaria. Una vita semplice, certo, ma incredibilmente magica.
Ciao Fanny, grazie di tutto. 

Pallida Luna

Logge ricolme dell’oro della sera
all’ombre indifese schiarano dolci asili.
Lentamente va spegnendosi
la fiaccola accesa,
il canto dell’umano ascendere ai tuoi cieli.
Torna la sera la luna di Venere vassalla
quando si tinge di fuoco la magnolia.
Ti ho attesa dove confabulano spiriti
testimoni della sera,
ma la tua luce non riscalda.

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